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Cos’è il cinque per mille?

Il cinque per mille indica una quota dell’imposta IRPEF, che lo Stato italiano ripartisce, per dare sostegno, tra enti che svolgono attività socialmente rilevanti (ad esempio non profit, ricerca scientifica). Il versamento è a discrezione del cittadinocontribuente, contestualmente alla dichiarazione dei redditi.

Ogni contribuente che effettua questa scelta destina all’ente da lui prescelto il cinque per mille delle proprie imposte effettive: quindi la firma di un contribuente ad alto reddito comporta un trasferimento di fondi maggiore rispetto alla firma di un contribuente a basso reddito. In questo il meccanismo di ripartizione differisce dal sistema dell’otto per mille.

Disciplina normativa

Venne introdotta, a titolo iniziale e sperimentale, dai commi 337-340 dalla legge 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria l’anno 2006) Il D.P.C.M. 19 marzo 2008 ha stabilito che i ministeri competenti all’erogazione della quota[1] sono tenuti all’obbligo di rendiconto, l’art. 8 comma 1 infatti afferma che:

« […]entro un anno dalla ricezione degli importi, sono tenuti a redigere un apposito rendiconto utilizzando il modulo reso disponibile sui siti istituzionali dei Ministeri competenti, nel quale sarà rappresentato in modo chiaro e trasparente l’effettivo impiego delle somme percepite per le finalità cui sono destinate. All’uopo, dovrà essere redatta anche una relazione che illustri gli interventi posti in essere, indicando per ciascuno di essi il costo, suddiviso nelle principali voci di spesa. »

Profili economico-giuridici

Dal punto di vista del cittadino, il cinque per mille rappresenta una forma di finanziamento delle organizzazioni non profit, delle Università e degli Istituti di ricerca scientifica e sanitaria che, a differenza delle donazioni, non comporta maggiori oneri, in quanto all’organizzazione prescelta (con l’indicazione del codice fiscale nella dichiarazione dei redditi) viene destinata direttamente una quota dell’IRPEF. Dal punto di vista dello Stato rappresenta invece un provvedimento di spesa, in quanto teoricamente vincola parte del gettito dell’imposta sui redditi (IRPEF) alle finalità individuate dal contribuente.

Oltre che come nuova forma di finanziamento del cosiddetto terzo settore, l’istituto del cinque per mille è pure considerato dalla dottrina giuridica quale esempio di sussidiarietà fiscale.[6]
In virtù della previsione del cinque per mille viene difatti garantita al contribuente una sfera di sovranità nella quale egli stesso può teoricamente decidere a chi destinare parte della ricchezza con cui contribuisce alle spese pubbliche (art. 53 Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche…) al di fuori dell’usuale processo per cui è unicamente il Parlamento a decidere sulla destinazione del gettito delle imposte (sulla base del principio no taxation without representation).

In tale prospettiva, l’intento del cinque per mille non è solo l’individuazione di nuove forme di sovranità, ma pure la responsabilizzazione del contribuente nell’individuazione degli enti che meritano di essere finanziati con le risorse pubbliche.

Il cinque per mille rappresenta inoltre un’applicazione pratica del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, quarto comma della Costituzione: Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà).

Il cinque per mille è stato oggetto di dibattito per quanto attiene alle modalità di attuazione individuate dal legislatore, in quanto si ritiene necessario da un lato garantire l’autonomia degli enti finanziati, dall’altro lato il loro effettivo perseguimento dell’interesse generale.

 

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